È tempo di pagelle e di valutazioni. in queste occasioni, vale la pena riflettere sui voti e sul senso della valutazione. Howard Gardner, insegnante e psicologo di fama mondiale, è convinto da sempre che avere buoni voti a scuola non sia garanzia di una vita di successo. Analizzando l’utilizzo del Q.I. per predire il successo lavorativo e personale, Gardner si è accorto che il peso di questo indicatore, in termini percentuali, era molto minore, ad esempio, rispetto a quello dell’intelligenza emotiva (che nella sua teoria delle intelligenze multiple corrisponde all’intelligenza interpersonale e a quella intrapersonale).

Sì: intelligenza emotiva ed empatia riescono a predire il “successo personale” (lavorativo e sociale) molto meglio del Q.I. e dei voti scolastici. Del resto, in azienda, i rapporti tra colleghi e la capacità di lavorare in squadra sono spesso più importanti delle conoscenze.

Questo non significa che il profitto scolastico non sia importante: vuol dire invece che il “voto” è solo una parte di un insieme più ampio. Un insieme del quale fanno parte il benessere emotivo e sociale oltre alle altre intelligenze di cui ciascuno di noi dispone. L’educazione e l’istruzione sono il frutto di un equilibrio difficile e precario tra conoscenze, abilità ed emozioni.
Non trasformiamo il voto in un momento di competizione o in una fonte di tensione: utilizziamolo come indicatore dei traguardi raggiunti e del lavoro ancora da fare, senza che questo si trasformi in un giudizio sul bambino. Quei voti rappresentano una porzione molto limitata dell’universo meraviglioso che è il bambino: consideriamoli come tali.

 

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