In un’epoca caratterizzata dalla crescita costante di nuove criticità e bisogni educativi che investono il mondo minorile, la pedagogia ha intravisto l’opportunità e, da qui, la necessità di valicare i rigidi confini entro i quali è stata tradizionalmente relegata. Tutto ciò per addentrarsi nell’ambiente giuridico, al fine di impegnare i suoi professionisti nella realizzazione di un’azione professionale che fosse, realmente ed efficacemente, orientata alla promozione e alla tutela, giuridica ed educativa, del ‘figlio conteso’, alla luce del suo diritto all’ascolto e del suo più ampio diritto alla partecipazione attiva nel processo della separazione legale dei suoi genitori.

L’attuale concezione del minore d’età si vede frutto di un ribaltamento interpretativo importante, segnato dal passaggio da una visione di minore come ‘oggetto di tutela’ a ‘portatore di diritti’, che richiedono ed esigono di essere riconosciuti, promossi e rispettati, sempre e da tutti.

Se in un recente passato il fanciullo e l’adolescente erano considerati soggetti totalmente dipendenti dall’adulto e il cui interesse veniva fatto coincidere con la possibilità, che era loro concessa, di conoscere e di accondiscendere ai valori e alle norme della società in cui si sarebbero inseriti una volta divenuti adulti, dalla seconda metà del secolo scorso si è andata sempre più diffondendo la consapevolezza che nell’interesse del minore d’età dovesse essere incluso, anche e soprattutto, l’armonico sviluppo della sua identità e della sua personalità e che, a tale scopo, gli adulti di riferimento dovessero garantirgli cure e stimoli adeguati e individualizzati, che fosse loro compito rispettare e favorire le sue attitudini e che dovesse esser posta attenzione particolare alle sue specifiche esigenze.

Il compito affidato ai genitori ha, pertanto, una duplice finalità, finalità che si pone e si dispiega nell’ambito di una nuova concezione della responsabilità genitoriale (intesa, ora, come un dovere assoluto e imprescindibile di entrambi i genitori nei confronti della prole), la quale impone con forza, alle figure di riferimento prime per il minore, di attivarsi affinché lo stesso non solo sia oggetto di tutela, ma che sia anche, coscientemente e attivamente, fautore della sua stessa salvaguardia.

Questa nuova modalità d’intendere il minore ha inevitabilmente condotto a ritenere indispensabile l’attribuzione di un ruolo di preminenza alla protezione dei suoi interessi negli interventi giudiziari ove è coinvolto, come il procedimento della separazione legale dei suoi genitori e, con questo, a considerare indiscutibilmente funzionale l’intervento della figura professionale di matrice pedagogica, non soltanto ai fini di una ‘responsabilizzazione’ delle figure genitoriali, affinché assumano coscienza in merito al loro ruolo e ai loro compiti educativi, ma anche nell’ambito circoscritto del Tribunale ordinario e, in particolare, in sede di ascolto del minore implicato nelle aspre contese genitoriali, ove il pedagogista si delinea come la figura professionale idonea a promuovere, nel ‘figlio conteso’, la volontà di far rispettare con fermezza la propria condizione, qualora sia mancante la capacità, da parte dei protagonisti del processo conflittuale e separativo, di svolgere in maniera adeguata le funzioni genitoriali a loro naturalmente affidate. Per un’effettiva tutela dell’individuo occorre, pertanto, attivare una connessione, proficua e sinergica, tra due ambiti operativi e di conoscenza divergenti, ma, al contempo, affini, come il diritto e la pedagogia, la cui applicazione, in sinergia con la materia giurisprudenziale, consente una più corretta interpretazione, ma anche concretizzazione, del principio insito nell’azione di chi si occupa, negli ambienti giuridici, della salvaguardia dei diritti della persona, ossia la convinzione che l’essere umano sia, indipendentemente dall’età e dall’estrazione sociale, un soggetto di diritti, inviolabili e inalienabili.

Ebbene, la pedagogia interviene nell’ambiente giudiziario nel momento esatto in cui ha luogo la violazione dei diritti del minore d’età attraverso un vero e proprio atto di violenza che si esplica nel suo attivo coinvolgimento nel processo conflittuale che vede come protagonisti i soggetti che, più di tutti gli altri, dovrebbero tutelarlo: i suoi genitori. Nel caso preciso in cui il figlio minore d’età sia parte attiva del meccanismo conflittuale, quest’ultimo necessita di forme di tutela specifiche, che scaturiscono dalla consapevolezza che il suo essere vittima della mancante capacità, da parte dei suoi adulti allevanti, di disgiungere l’area della genitorialità da quella della coniugalità, si delinea come una condizione assolutamente sfavorevole per la sana strutturazione dell’identità e della personalità dell’individuo in-divenire, nonché per il suo benessere e per il suo positivo iter di sviluppo. In tale frangente, la pedagogia si incontra e si interseca con il diritto nel momento esatto in cui si attiva ai fini della realizzazione, efficace, della salvaguardia del minore conteso e, quindi, nel momento preciso in cui mette a disposizione i suoi professionisti affinché possano dispiegare le proprie conoscenze e competenze specifiche nell’effettuazione di una procedura che, se eseguita con competenza, serietà ed etica professionale, rende presente il minore inesistente e che, quindi, si delinea come uno strumento di promozione e di tutela vero e proprio del soggetto in stato di bisogno: il suo ascolto.

 

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